Solitamente, ricordiamo gli avvenimenti importanti della vita con dei “prima” e dei “dopo” e, questo linguaggio del precedente o del seguente un fatto ricade anche nella vita della Comunità Parrocchiale e nelle sue manifestazioni o meglio memorie di fede.
La Santa Madre Chiesa, è sempre stata attenta alla trasmissione della corretta Catechesi verso i suoi figli, intervenendo quando vede abusi o difformità da quella che è la Tradizione Apostolica.
Con il tempo sono subentrate imprecisioni anche per le Domeniche che seguono la Pasqua “comunemente chiamate dopo Pasqua” che si prolungano fino alla Pentecoste, che avviene cinquanta giorni dopo la Pasqua.
In questa denominazione del “dopo Pasqua” la Chiesa ha visto una deformazione dell’annuncio della Resurrezione di Gesù e del Suo messaggio di salvezza.
Per un lungo periodo di cinquanta giorni dobbiamo meditare sulla nostra salvezza e sul mistero della nostra fede, e sull’oggi della nostra redenzione, perché “se Cristo non fosse risorto, la nostra predicazione sarebbe senza fondamento e vana la nostra fede” ci dice l’apostolo Paolo nella sua prima lettera ai Corinti (1 Cor.15,14).
E’ del 1969 il commento ufficiale legato alla riforma dell’Anno Liturgico che riporta: “….poichè appaia evidente che i cinquanta giorni del tempo pasquale…sono come un solo giorno o una grande domenica, le domeniche del tempo pasquale …non saranno più chiamate domeniche dopo Pasqua, ma domeniche di Pasqua…”
In questo modo viene riconfermato alle “Domeniche di Pasqua” il loro carattere primario del “giorno dopo il sabato”
quando le donne di buon mattino si recarono al sepolcro e lo trovarono…vuoto! E’ l’ottavo giorno!
Quanto sopra è una semplice precisazione che non si vuole addentrare nelle disquisizioni teologiche-liturgiche-pastorali, ma un semplice contributo di riflessione sul come usare correttamente il linguaggio sia della Catechesi che della Liturgia.
E’ evidente che si può fare memoria delle domeniche di Pasqua anche ricordandole con il nome dato loro dalla liturgia o dal messaggio liturgico delle letture, per cui la seconda domenica di Pasqua è ancora chiamata “domenica in Albis” perché i primi cristiani deponevano la veste bianca del battesimo che avevano ricevuto nella Veglia Pasquale; oppure chiamarla anche “della Divina Misericordia” da quando nel 2000 papa san Giovanni Paolo II istituì la devozione alla Divina Misericordia; oppure chiamarla la “domenica della incredulità di san Tommaso” per l’episodio del Vangelo. Anche se definirla “incredulità” mi pare un termine non adatto, perché la fede è un rischio e non si tratta di toccare e vedere, ma di accogliere un annuncio che mi viene dato. E Gesù lo dice chiaramente a Tommaso.
La terza domenica di Pasqua è detta anche della “pesca miracolosa”, la quarta di Pasqua è la domenica del “Buon Pastore”, la quinta di Pasqua è denominata la domenica “del comandamento nuovo”, mentre la sesta è la domenica “promessa dello Spirito Santo”.
Allora in queste domeniche di Pasqua che si prolungano per cinquanta giorni possiamo scambiarci e ripetere l’augurio pasquale del “Cristo è Risorto! E’ veramente risorto! “ oppure “Sì, Cristo è veramente risorto e noi ne siamo i testimoni” perché la mia fede è l’’incontro con Cristo Risorto e questo incontro avviene “oggi” cioè nel tempo nel quale io rendo testimonianza e vivo la prova della fede in Lui.
Enzo